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sabato 14 marzo 2009

DUBBI SULLA SCUOLA

In un’intervista a Donna Moderna del 29 ottobre 2008, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha dichiarato che se un giorno avrà dei figli li iscriverà a una scuola pubblica di qualità. Mi pare una valida premessa per chi si pone compiti di riforma. In tal senso, per quanto mi compete, guardo con simpatia ad alcuni aspetti del suo disegno. La riadozione del grembiule alle elementari, per esempio, può favorire il senso di uguaglianza e di appartenenza alla comunità scolastica. Oppure, il ritorno degli esami di riparazione alle superiori, l’introduzione della materia Educazione alla cittadinanza e, infine, il peso del voto in condotta nello scrutinio finale, penso siano misure coerenti col principio della serietà degli studi e della responsabilizzazione dei suoi vari protagonisti. Ciò detto, affermo la mia contrarietà a ogni ipotesi di classi ponte per i bambini extracomunitari. La scuola credo debba migliorare l’apprendimento della lingua italiana con insegnamenti ad hoc pomeridiani o serali e senza dimenticare che una parte della soluzione del problema sta nelle relazioni che gli scolari hanno quando condividono, sin dai primi stadi, le varie attività. Anche sul piano della educazione alla tolleranza e alla conoscenza reciproca ritengo sia preferibile evitare criteri di omogeneità etnica lontani da una società multiculturale in pur non semplice evoluzione. Mi suscita perplessità pure la prospettiva di potenziare l’inglese alle scuole medie, passando dalle tre alle cinque ore settimanali ma rendendo facoltativa la seconda lingua comunitaria (francese, spagnolo o tedesco). Forse diventiamo meglio cittadini del mondo rispettosi delle minoranze se non ci priviamo così presto di una diffusa infarinatura di almeno due lingue straniere. Salendo di grado, metto un punto interrogativo all’idea che i docenti universitari siano valutati in base alla loro produzione scientifica perché, a parte lodevoli eccezioni, vi sono alcuni più votati alla ricerca e altri più inclini alla didattica. Da ex studente tifoso delle lezioni alla lavagna mi dispiace se il gessetto e il cancellino perdono valore rispetto al numero di pubblicazioni di chi insegna. Ultima, ma non minore, la politica dei tagli (degli orari scolastici e del personale docente), forse risponde più a un’esigenza di bilancio che non al bene di un’istituzione come la scuola in cui, da sempre, si è investito poco. Causa non secondaria di un certo ritardo nello sviluppo economico e civile del nostro Paese rispetto ai suoi partners europei. Comprendo che il livello abnorme del debito pubblico (stabile poco sopra il Pil) richiede l’uso del bisturi un po’ in tutti i campi di spesa ma inviterei, nel caso in esame, a un cambio di prospettiva. Salvo il rigore, più risorse alla scuola di oggi significano più reddito e più entrate domani. Il saldo potrebbe rivelarsi positivo. Ma, al di là di queste osservazioni, vorrei soffermarmi, in forma più estesa, su un altro aspetto che mi rende scettico. Nel dibattito contemporaneo noto una certa enfasi sulla meritocrazia. Domanda: non bastano i voti? Non mi dilungo e, fuor di perifrasi, espressa la più sincera ammirazione per le scuole modello Università Bocconi, penso sia da evitare il trasferimento dei loro standard alla scuola pubblica. Sono ambiti diversi, con finalità distinte. La scuola privata è esclusiva. La scuola pubblica è inclusiva. Entrambe possono contribuire alla crescita culturale del Paese ma una scuola pubblica non può venir meno al suo compito principale di istruzione su larga scala e di promozione sociale per tutti coloro che, indipendentemente dai ceti di provenienza o di altri handicap di partenza, dimostrano capacità e impegno, a giudizio insindacabile dei loro professori. Senza ricorrere a teorie pedagogiche che non conosco, la preoccupazione si basa sulla mia esperienza. Essendo, per limiti personali, un po’ lento, fatico a ingranare e dunque, per restare all’esempio, non ce l’avrei fatta a studiare Economia alla Bocconi. Per fortuna, invece, l’ho potuto fare a Scienze Politiche a Bologna, grazie al fatto che, dopo aver superato, piano piano, alcuni scogli iniziali, ho incontrato dei docenti che mi hanno appassionato alla materia permettendomi di completare gli studi. La menzione del cuore va al Professor Giorgio Basevi, ordinario di Economia Internazionale, con cui ho svolto la tesi. Alcuni amici, dopo la laurea, hanno conseguito una specializzazione in prestigiose università estere o avviato brillanti carriere professionali, a conferma che le basi ricevute erano di buona qualità. Forse, per i conti pubblici, da fuoricorso, sono stato un costo che non so ancora se riuscirò mai a ripagare ma, guardandomi dentro, sono ugualmente contento del percorso formativo che ho compiuto. Ed, anzi, a bilancio ormai più che ventennale, lo considero uno dei tratti fondamentali della mia vita. Trovo conforto nel ricordo di una scena d’apertura del film “Être et avoir” del regista Nicolas Philibert (Francia 2002). Di prima mattina, c’è un’aula vuota con due tartarughe che si muovono dal fondo verso il suo centro. La trama racconta la vita quotidiana di una classe unica in un paese di campagna dove c’è un maestro che fa del rispetto dei tempi di apprendimento dei bambini uno dei suoi metodi principali. La sua missione è di aiutarli a tirar fuori, da ognuno di loro, qualcosa che resterà. Come atto di riconoscenza verso tutti gli insegnanti che sanno aspettare e che sono capaci di infondere nei loro allievi l’interesse alla conoscenza, concludo la lettera con un brano di Maria Zambrano, dal suo libro Per abitare l’ esilio (ed. Le Lettere): “Non avere maestro è non avere a chi domandare e, in un senso ancora più profondo, è non avere nessuno davanti a cui porsi delle domande. Vuol dire rimanere rinchiusi in un labirinto primario che è la mente di ogni uomo in origine; rimanere rinchiusi come il Minotauro, traboccanti di impeto che non può avere sfogo. Ogni vita è in principio prigioniera, aggrovigliata nel proprio impeto. E il maestro deve essere colui che apre la possibilità, la realtà di un altro modo di vita, quella vera. Una conversione è la definizione più giusta dell’azione del maestro. La resistenza iniziale verso colui che irrompe nelle aule si trasforma in attenzione. La domanda iniziale comincia a spiegarsi. L’ignoranza svegliata è già intelligenza”.

Massimo Negri
Casalmaggiore