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sabato 18 ottobre 2008

ALLA VITA SERVE UNA LEGGE

Ringraziamo Stefano Ceccanti (costituzionalista, docente di diritto pubblico comparato all'Università di Roma, ex presidente della FUCI, senatore nella XVI Legislatura per il Partito Democratico) che ha accettato di collaborare al nostro sito con alcuni articoli tratti dal suo blog:

Il conflitto di attribuzione del Parlamento contro la sentenza della Cassazione sul caso Englaro è stato liquidato dalla Corte costituzionale come era inevitabile: una decina di righe di motivazioni e poche ore di camera di consiglio. Si è così dimostrata tutta la strumentalità della maggioranza che ha utilizzato, in modo del tutto improprio, ore di lavoro delle Camere per una causa a priori impraticabile e quindi destinata all'insuccesso. Nel corso di quel dibattito il Pd ha chiesto di accelerare sull'approvazione di una legge. La richiesta resta del tutto valida per rispondere all'incertezza dei cittadini e degli operatori. Si assiste nella fase attuale ad un'improvvisa inversione di fronti: prima di quella sentenza della Cassazione i contrari alla legge erano i sostenitori di posizioni "restrittive" che si sentivano protetti da una giurisprudenza sino allora conforme ai loro desiderata; ora, invece, nel timore di una legge restrittiva, in particolare sul punto dell'alimentazione e idratazione artificiale, sono alcuni sostenitori di posizioni più "liberali" a ritenere dannosa la legge. Sbagliavano ieri i primi, perché il dibattito medico e giuridico era ampiamente pluralista e prima o poi quel pluralismo si sarebbe manifestato anche a livello giurisprudenziale: era solo questione di tempo. Sbagliano oggi i secondi, perché una sentenza di una sezione della Cassazione può essere tranquillamente smentita. A quasi un anno di distanza, infatti, da quella sul caso Englaro, il 15 settembre, una diversa sezione della Cassazione ha espresso orientamenti molto diversi e restrittivi sul dissenso alle cure. Non potendo oggi nessuna persona prevedere quale giurisprudenza sarebbe applicata al proprio caso, solo un parlamentare irresponsabile abdicherebbe alla sua responsabilità, anche a costo di vedere approvata a maggioranza una legge in qualche punto lontana dalle proprie posizioni. La legge sarà comunque un "male minore" (o, meglio, un "bene possibile") per il cittadino rispetto all'incertezza. In realtà, a mio avviso, vi è ormai una condivisione abbastanza ampia sulla gran parte delle questioni e anche l'aspetto delle modalità di espressione del consenso e del grado di vincolatività per il medico può trovare delle mediazioni alte. L'unico punto che, nonostante gli sforzi, sembra ricondotto ad una logica binaria - senza possibilità di opzioni intermedie - riguarda l'idratazione e l'alimentazione artificiale, la cui interruzione è ammessa in alcuni disegni di legge, a cominciare da quello Marino (Atto Senato n. 10) ed escluso da quello Baio (Atto Senato n. 994). Mi sembra quindi evidente che qui si dovrà scegliere, fermo restando che, come accade in Parlamento, le scelte sono sempre reversibili in seguito: mi sembrerebbe però improprio radicalizzare le differenze. Noto, infatti, soprattutto in qualche commentatore esterno al Parlamento, la tendenza a descrivere la posizione altrui non solo come non condivisibile, ma anche come incostituzionale. Per un verso chi è su posizioni più "liberali" si spinge talora a sostenere che la prosecuzione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale rientrerebbe nel divieto di trattamenti sanitari obbligatori di cui all'articolo 32 comma 2 della Costituzione; sul versante opposto si sostiene, da parte di chi condivide una visione più restrittiva, che sarebbe invece l'interruzione delle cure a configurare una forma di suicidio assistito che, oltre a confliggere con norme specifiche, violerebbe anche il diritto alla vita sancito dalla Costituzione. Non mi sembra che nessuna di queste due posizioni sia convincente. Leggendo, infatti, il volume più recente in materia, quello di Federico Gustavo Pizzetti "Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona", edito da Giuffré, con molta onestà intellettuale, nelle pagine da 270 a 280 che trattano specificamente tale questione, si evince che non c'è alcuna conclusione condivisa né nel dibattito medico (d'altronde non la pensano allo stesso modo neanche i medici del gruppo Pd), né nella dottrina giuridica, né nella sensibilità sociale sulla classificazione di alimentazione e idratazione o tra i trattamenti sanitari o tra i presidi di cura. Pizzetti parla di "qualificazione…parecchio controversa"; poiché, l'interpretazione costituzionale non è autoreferenziale, in assenza di un consenso realmente diffuso, appare scorretto considerare la posizione altrui come incostituzionale. In altri termini, ognuna della due scelte che il legislatore farà è ugualmente legittima, per quanto per molti la propria appaia nettamente preferibile. Il confronto va avviato in questi termini, senza drammatizzazioni improprie e sproporzionate. Altrimenti facciamo solo dell'ideologia, pur motivata con riferimenti nobili alla Costituzione.

Stefano Ceccanti