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martedì 21 ottobre 2008

SE IL PD NON SA "FARE, DIRE, AVERE"

Trovare un’identità, per questo partito significa anche elaborare un linguaggio che ne descriva e semplifichi al meglio la direzione. Non è affatto un caso che i nostri elettori e simpatizzanti, per i quali il 14 ottobre 2007 è stato il punto massimo di entusiasmo, siano disorientati e ci accusino di ma_anchismo: penso questo, ma anche questo. Il linguaggio di Berlusconi, ma non solo di Berlusconi, anche della maggior parte dei deputati della PDL, è un linguaggio in formato spot, soggetto-verbo-complemento, che non adduce a dubbi sulla direzione che intendono prendere. Sono chiari. Sono punti di riferimento. Il disorientamento dei nostri si trasforma in incomprensione, ed infine in allontanamento. Questo partito sta sanguinando, ma non ce ne stiamo accorgendo, perché la parte che sta scivolando via è quella cosiddetta società civile, la componente aggiunta, i cui volti e nomi non conoscevamo e continuiamo a non conoscere. Nella mailing list del mio circolo romano si dibatteva con grande competenza particolareggiata di questioni legate ad alcune zone del nostro quartiere: in una strada di Roma sono state trovate delle antiche gallerie sotterranee, si è aperta una voragine e la strada è chiusa da molto tempo. Chi è nella succitata mailing list o siede in municipio sa che la strada non viene riaperta perché per fare quel tipo di sondaggi ci vuole molto tempo, molti soldi e tutto questo viene fatto per tutelare la sicurezza degli abitanti di quella strada. Con semplicità ho chiesto ai consiglieri del municipio di informare soprattutto i cittadini, con un semplice volantino partendo dal presupposto che come cittadina voglio essere informata: nel tuo quartiere, nella tua strada, stiamo facendo questo. E’ così semplice da fare paura. Manca al nostro partito la capacità di comunicare, di stare accanto ai cittadini, perché ci manca la capacità di sentirci di nuovo cittadini e di capire quali sono le esigenze. E ancora, voglio farvi altri due esempi che mi toccano sulla pelle, in quanto lesbica che ha deciso di militare in questo partito e fino ad ora, escludendo Paola Concia, le parole più belle le ha lette nel editoriale di apertura di Concita De Gregorio. Il primo: il sindaco di Genova alla notizia che Genova ospiterà il Gay Pride del 2009 si è affrettata a dire: ci andrò ma senza fascia tricolore. Non capisco, da cittadina lesbica, perché un sindaco non possa sfilare ad una manifestazione in cui io rivendico dei diritti che non ho, e non capisco perché il sindaco di Genova vada al Corpus Domini con la fascia tricolore. Cosa c’entra? La religione sì che è una cosa privata, se la viva privatamente senza fascia tricolore. Va in rappresentanza? Di chi? Non lo capisco. Nel resto dell’Europa non accade questo. Il secondo esempio. Raciti, giovane candidato alle giovanili di partito, intervistato da Novella 2000, si affretta a dire che lui è “ovviamente eterosessuale”. Cosa significa? Ovviamente in che senso? Perché non è effeminato? Perché lui è un vero uomo? Non è accettabile che un partito che si definisce progressista faccia questi scivoloni lessicali, le parole sono importanti, le parole ci descrivono e ci etichettano. Dobbiamo usarle meglio. La mancanza di informazione, di “sentimento” civile ed infine l’utilizzo di questo linguaggio ambiguo su questioni che non sono etiche, ma sono semplicemente giuste, sta facendo sanguinare questo partito. Noi dobbiamo sentire il nostro Paese e dobbiamo avere, fare e dire (3 verbi semplici) una politica che sia comprensibile, che sia semplice ma chiara. Noi questa cosa non l’abbiamo ancora tra le mani. Costruiamola. Il 25 ottobre non ce ne stiamo in testa al corteo: mischiamoci e ascoltiamoci.


Cristiana Alicata